Un film di Gianluca D’Elia
Durata: 1 minuti
Genere: Portrait film | Visual diary |Lifestyle
Durata: 1 minuti
Genere: Portrait film | Visual diary |Lifestyle
George è un artista siriano di Aleppo. Ha attraversato l’inferno della guerra, vivendo per anni sotto i bombardamenti, circondato da rovine, odio e paura. Quando tutto intorno a lui crolla, sceglie di non imbracciare un’arma, ma un pennello.
Questo breve documentario è il ritratto delicato e profondo di un uomo che ha trasformato il dolore in bellezza.
Dalla Siria all’Italia, il viaggio di George è una testimonianza silenziosa e potente su cosa significa resistere senza combattere, fuggire per ricominciare, ritrovare sé stessi nell’arte.
Dalla Siria all’Italia, il viaggio di George è una testimonianza silenziosa e potente su cosa significa resistere senza combattere, fuggire per ricominciare, ritrovare sé stessi nell’arte.
"La guerra uccide lentamente ogni giorno. Ma l’arte mi ha salvato."
Ci sono storie che ti scelgono. Non sei tu a cercarle. Ti vengono incontro con la forza di uno sguardo, di una parola detta sottovoce.
Con George è stato così.
L’ho conosciuto a Reggio Emilia. Un uomo silenzioso, gentile, con occhi che sembrano portarsi dietro secoli di dolore e bellezza insieme. Era arrivato dalla Siria qualche anno prima, dopo aver vissuto l’orrore della guerra ad Aleppo. Ma non era solo un sopravvissuto: era un artista. Uno di quelli veri, che dipingono non per mestiere, ma per respirare.
Con George è stato così.
L’ho conosciuto a Reggio Emilia. Un uomo silenzioso, gentile, con occhi che sembrano portarsi dietro secoli di dolore e bellezza insieme. Era arrivato dalla Siria qualche anno prima, dopo aver vissuto l’orrore della guerra ad Aleppo. Ma non era solo un sopravvissuto: era un artista. Uno di quelli veri, che dipingono non per mestiere, ma per respirare.
Mi ha raccontato la sua storia tra una tazza di tè e l’odore di trementina.
La guerra gli aveva portato via tutto. La casa, gli amici, il futuro. Per cinque anni non aveva più toccato un pennello. Troppa distruzione intorno, troppa paura dentro. "La guerra ti uccide piano," mi ha detto una volta. "Ogni giorno un po’. Ti toglie la memoria, la normalità, perfino la voglia di immaginare.”
La guerra gli aveva portato via tutto. La casa, gli amici, il futuro. Per cinque anni non aveva più toccato un pennello. Troppa distruzione intorno, troppa paura dentro. "La guerra ti uccide piano," mi ha detto una volta. "Ogni giorno un po’. Ti toglie la memoria, la normalità, perfino la voglia di immaginare.”
Eppure era lì, in quel piccolo studio in Italia, con le dita sporche di colore, davanti a una tela immensa.
L’arte lo aveva salvato. Letteralmente.
Quel bisogno profondo, fisico, di cercare la bellezza anche dove non c’è, anche dopo aver visto l’inferno.
L’arte lo aveva salvato. Letteralmente.
Quel bisogno profondo, fisico, di cercare la bellezza anche dove non c’è, anche dopo aver visto l’inferno.
Ho deciso subito che volevo raccontarlo. Non tanto con le parole, ma con le immagini.
Abbiamo girato per giorni in silenzio. Non servivano molti dialoghi. Bastava il rumore dei pennelli sull’acrilico, la luce del sole che entrava dalla finestra, la lentezza dei suoi gesti.
Volevo che il film fosse un respiro. Che chi lo guardasse sentisse la stessa sospensione che avevo sentito io: quella fragile quiete che si conquista dopo una tempesta.
Abbiamo girato per giorni in silenzio. Non servivano molti dialoghi. Bastava il rumore dei pennelli sull’acrilico, la luce del sole che entrava dalla finestra, la lentezza dei suoi gesti.
Volevo che il film fosse un respiro. Che chi lo guardasse sentisse la stessa sospensione che avevo sentito io: quella fragile quiete che si conquista dopo una tempesta.
George non è un attivista, né un oratore. Ma il suo modo di dipingere, di guardare le cose, è una forma potente di resistenza.
Ogni volto che ritrae è un frammento di memoria. Ogni colore, una risposta silenziosa all’odio.
Ogni volto che ritrae è un frammento di memoria. Ogni colore, una risposta silenziosa all’odio.
Quando abbiamo finito le riprese, mi ha abbracciato forte. Non ha detto nulla. Ma nei suoi occhi c’era gratitudine. E una calma nuova.
Per me questo film non è solo un documentario. È un ritratto d’anima.
È la prova che la bellezza, anche ferita, può ancora salvarci.
È la prova che la bellezza, anche ferita, può ancora salvarci.